La digitalizzazione è necessaria, ma servono regole e autocontrollo se vuoi raggiungere il benessere digitale.
Noi siamo quelli del marketing e della meditazione, è vero. Ma esiste un modo oggi, nell’era della digitalizzazione, per ritrovare un sano equilibrio interiore e raggiungere il proprio benessere digitale senza ricorrere a pratiche estreme di isolamento. Iniziamo, dunque, il nostro articolo con una buona notizia: non occorre prenotare un biglietto di sola andata per l’oriente alla ricerca di sé stessi.
La velocità esponenziale con cui l’innovazione tecnologica progredisce ci sta proiettando in un mondo che fino a pochi decenni fa apparteneva unicamente al dominio della fantascienza.
1. Introduzione: “Back to the Future!”
2. La parola all’esperto: Smartphone “Love & Hate!” (Ovvero, croce e delizia degli italiani)
3. Consigli pratici: Il benessere digitale
4. Conclusione: “Una app?!” – Contraddizione o soluzione?
1. Introduzione: “Back to the future!”
Chi non ricorda le gesta di Michael J. Fox e Christopher Lloyd, rispettivamente Marty McFly e il mitico “Doc”, lo scienziato bislacco Emmet Brown, nella pellicola di Robert Zemeckis del 1985? Chi non sa di cosa stiamo parlando è pregato di abbandonare questa pagina… (scherziamo ovviamente!)
Scherzi a parte, facciamo un esercizio divertente: per chi come noi, è appassionato del genere sarà tutto più facile (poi capirete perché).
Facciamo finta di essere a bordo della mitica DeLorean, la macchina del tempo attraverso la quale i due protagonisti scorrazzano avanti e indietro negli anni tra passato e futuro. Per cominciare il nostro viaggio impostiamo “il timer” indietro di 200 mila anni. Ebbene, ci ritroveremmo nell’era in cui la specie Sapiens ha mosso i primi passi. Se di colpo volessimo andare a vedere la nascita della civiltà umana invece, dovremmo fare un enorme salto in avanti, poiché è nata circa 12 mila anni fa. E se ancora volessimo andare a vedere quando l’uomo ha iniziato a lavorare i metalli per produrre i primi utensili, dovremmo fare un altro balzo in avanti di altri 6 mila anni. Per vedere la prima ruota altri 2 mila anni e infine per trovare le prime forme di comunicazione scritta dovremmo fare un ulteriore scatto spostandoci nella timeline di un altro millennio. Pensate invece che se volessimo vedere nascere il world wide web, basterebbe andare indietro nel tempo di soli 50 anni. Da allora poi, abbiamo sviluppato negli ultimi due decenni la tecnologia mobile e oggi, addirittura, ci troviamo a contemplare la possibilità di creare un mondo virtuale a nostra immagine e somiglianza:
“Accidenti!” – qualcuno potrebbe pensare – “ma allora era meglio fermarsi e smetterla di viaggiare nel tempo…”, ma al di là delle banali disquisizioni (della serie: “si stava meglio quando si stava peggio” ) e delle considerazioni etiche e sociologiche, c’è poco da dire: il digitale ci ha permesso un salto evolutivo (in termini tecnologici e di funzionalità) senza precedenti!
Infatti, ci garantisce una possibilità che i nostri avi hanno solo potuto immaginare o romanzare (proprio come il buon vecchio Robert quando ha girato Ritorno al Futuro). Oggi, infatti, possiamo connetterci a persone, contenuti e servizi, al di là dei vincoli di spazio e tempo… fino a qualche anno fa era roba da fantascienza davvero!
Col Covid poi, questa grande opportunità è stata per molti una vera e propria salvezza, una specie di nostra Arca di Noè (in cui però ci siamo potuti stare tutti!).
E, infatti, abbiamo iniziato a sfruttare tutti il digitale, e per ogni cosa, fino a coprire quasi ogni sfera dell’attività umana…
Il progresso tecnologico degli ultimi due decenni ci ha permesso un salto evolutivo senza precedenti.
Si stava meglio quando si stava peggio.
2. La parola all’esperto: Smartphone “Love & Hate!” (Ovvero, croce e delizia degli italiani)
Ora concentriamo la nostra attenzione sul dispositivo più amato e al tempo stesso odiato dagli italiani: lo smartphone!
Sono loro i protagonisti di questo articolo, l’icona del processo di trasformazione digitale. Proviamo, dunque, a vedere come si sono diffusi e come ne è cambiato l’impiego in soli 14 anni dal loro avvento.
Nel 2016, dopo solo 8 anni, il 62% degli italiani ne possedeva almeno uno. Nel 2021 siamo arrivati al 97%.
Il tempo medio di utilizzo giornaliero nel 2008, era intorno ai 20 minuti, nel 2016 è salito a circa 3 ore e, nel 2021, più o meno 4 ore e un quarto. Certo, dal 2008 ad oggi l’incremento di applicazioni e la varietà di modalità di utilizzo sono aumentati a dismisura e di pari passo sono cambiate radicalmente anche le nostre abitudini. Le attività della nostra quotidianità che vengono mediate da questo device, infatti, hanno modificato profondamente la nostra vita. Mentre prima veniva impiegato principalmente per chiamate, messaggistica, e fruizione multimediale (musica, foto e video), per il gaming e per i social, oggi, invece, lo usiamo per effettuare acquisti online su siti e applicazioni di e-commerce, per consultare i nostri conti correnti, per navigare e aiutarci a trovare strade e a raggiungere le nostre mete, per migliorare il nostro stato di salute attraverso applicazioni e servizi di health and fitness, per memorizzare e gestire i nostri appuntamenti, per viaggiare e acquistare servizi di trasporto, per effettuare meeting in streaming e fare video conferenze e molto altro… Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. Questi dispositivi hanno avuto una diffusione capillare ed hanno modificato radicalmente la struttura e il funzionamento della società, nonché l’esperienza quotidiana delle persone: è davvero cambiato tutto e, per di più (come abbiamo constatato nel nostro “viaggio nel tempo”), in pochissimo tempo rispetto alle altre grandi rivoluzioni tecnologiche che hanno segnato la storia della nostra civiltà.
Naturalmente ci siamo interrogati rispetto alle capacità di apprendimento e adattamento delle persone in relazione al tempo e alla capacità umane fino ad oggi note. Abbiamo deciso di rivolgere quindi alcune domande ad un esperto: Mattia Minzolini, Dottore in Psicologia specializzato in Benessere ed Empowerment Psicologico, professionista nell’ambito delle Psicotecnologie e della Psicologia Sportiva.
Ecco cosa ci ha raccontato e quali sono state le sue parole a riguardo: «Ogni cambiamento rappresenta per l’essere umano un processo di apprendimento e adattamento. Esistono delle funzioni regolative nell’uomo, in termini biologici, psicologici e sociali, che supportano tali processi, che si attuano ergonomicamente solo in presenza di risorse e tempi ottimali. Ognuno di questi processi, in primis, non è detto che avvenga con successo e, spesso, non ha un andamento lineare ma, piuttosto, può essere meglio descritto da una curva».
Ora, rispetto al cambiamento di cui stiamo parlando, la digital transformation, come siamo messi? In quale fase della curva siamo?
«In effetti non proprio» – prosegue Mattia – «parebbe anzi che siamo nella sezione deflessa della nostra curva di apprendimento e adattamento. La ricerca ci dice, per esempio, che trascorriamo circa il 28% della nostra giornata da svegli con lo smartphone in mano, lo sblocchiamo 221 volte al dì, riceviamo una notifica ogni tre minuti e lavoriamo ogni giorno due ore in più per recuperare il tempo perso sul device».
Insomma, un trend d’utilizzo non proprio equilibrato…
«Innanzitutto, questi dati ci suggeriscono una relazione d’uso morbosa: l’interazione intensiva con lo smartphone ci ha portato a sviluppare un attaccamento affettivo, che non c’entra con le sue funzionalità utilitaristiche. Si pensa che questo legame sia finalizzato a trovare conforto e rassicurazione di fronte ai vissuti spiacevoli che possono capitare nella nostra quotidianità, per esempio quando siamo annoiati o stressati. La natura problematica di questo rapporto si manifesta con sintomi di disagio e angoscia che sperimentiamo nei momenti in cui il dispositivo non è accessibile: tale condizione è chiamata “no-mobile-phobia” o Nomofobia».
«Un altro tema rilevante – continua il nostro esperto – è quello dell’innalzamento dei nostri livelli quotidiani di stress a seguito di una così pervasiva esposizione allo smartphone. Gli stimoli e le richieste continue che arrivano dal nostro apparecchio, banalmente attraverso la marea di notifiche che riceviamo ogni giorno, portano a un rapido esaurimento della disponibilità cognitiva dell’utente, causando forme particolari di born-out definite come “technoexhaustion” (puoi approfondire questo argomento leggendo l’articolo precedente). Da sottolineare che tali livelli di stress vanno spesso a compromettere il nostro sonno e relax, causando un circolo vizioso in cui non riusciamo mai a rirpristinare completamente le nostre risorse, trovandoci a vivere così in condizioni di sforzo cronico».
Siamo certi che giunto a questo punto, anche tu starai rivivendo e visualizzando scene che ti riportano alla memoria situazioni di disagio vissute in prima persona o legate ai racconti di amici, conoscenti e parenti. Già, perché la proprietà magnetica con cui lo smartphone assorbe la nostra attenzione e l’importante ruolo di mediazione che sta assumendo nei confronti delle nostre relazioni sociali, ci sta portando a modificare drasticamente la dimensione interpersonale con evidenti ripercussioni. Per esempio, oggi si parla di phubbing, quel fenomeno dilagante nel quale stiamo al telefono mentre siamo in compagnia di altre persone, indicatore di una crescente difficoltà degli individui nell’impegnarsi a interagire con gli altri, preferendo la sicurezza delle relazioni a distanza.
Altro aspetto da non sottovalutare, è l’impatto diretto sulla nostra salute fisica. Con il termine Text Neck si fa riferimento al corollario di effetti dovuti alle continue sollecitazioni del corpo causate dall’utilizzo pervasivo dei dispositivi mobile, come per esempio la classica postura di chiusura anteriore che assumiamo quando siamo chini sul nostro smartphone.
La Text Neck comprende sintomi quali:
mal di testa;
dolori cervicali;
rigidità del cingolo scapolo-omerale e dorsale;
formicolio e intorpidimento degli arti superiori;
difficoltà visive, gastrointestinali e respiratorie.
Insomma, abbiamo parlato di parecchie conseguenze implicate con l’impiego eccessivo e sregolato degli smartphone, e tante altre ce ne sarebbero da dire, ma cerchiamo di tirare un po’ le somme facendoci aiutare da ciò che ci dice la letteratura scientifica in merito:
aumento del disagio psicologico e fisico;
disregolazione emotiva;
riduzione delle capacità interpersonali;
riduzione delle capacità di time management;
riduzione della disponibilità cognitiva e dell’attenzione focalizzata;
diminuzione del rendimento scolastico e lavorativo.
Ok, non è proprio una meraviglia allora… dobbiamo necessariamente prendere consapevolezza di questi aspetti e conseguentemente trovare delle soluzioni.
«La risposta sta su 2 livelli, uno macro che riguarda la società e uno micro che riguarda l’individuo». – conclude il nostro psicologo – Il primo livello è a monte del secondo e riguarda le origini del problema. Stiamo parlando degli scopi e delle modalità con le quali vengono progettate le nuove tecnologie, così come gli usi e i costumi che di conseguenza si diffondono nel tessuto socioculturale. Per esempio, i social network sono strutturati per generare ingaggio e dipendenza negli utenti perché il loro fatturato dipende da quanto massivamente vengono utilizzati. Più persone si iscrivono e iniziano a presentare stili di utilizzo pervasivi, che sono indotti, più tale trend si normalizza, diventando uno stile di vita accettato e professato. Gli attori di questo livello sono quindi le aziende, i mercati e le masse, con le proprie culture mediali. A questo livello, quindi, sarebbe necessario attivare una regolamentazione istituzionale dei paradigmi progettuali delle nuove tecnologie, fondata sulla ricerca; promuovere l’etica aziendale e del mercato; diffondere una cultura digitale basata su autonomia e gestione controllata dello strumento, non su utilizzo pervasivo e dipendente».
«Il secondo livello a valle, invece, è quello individuale e riguarda le conseguenze del problema. È quello che interessa noi. A questo livello si trova la dimensione relazionale quotidiana della persona con le nuove tecnologie. Dimensione che, come abbiamo visto, è spesso connotata dalla difficoltà nel regolare tale rapporto, con conseguenze sul benessere psicofisico e sul buon funzionamento dell’individuo. Questo livello non può attendere il cambiamento di quello sovraordinato perché ci parla di un disagio attuale e diffuso. A questo livello è necessaria educazione e consapevolezza, per permettere alle persone di fronteggiare positivamente il complesso compito evolutivo insito nella digitalizzazione: l’attiva costruzione del proprio benessere digitale».
I nostri amati (e odiati) dispositivi hanno modificato radicalmente le nostre abitudini e la società con evidenti conseguenze sul nostro benessere psicofisico. Per iniziare a fronteggiare il problema occorre educazione e consapevolezza.
Lo smartphone è la soluzione a tutti i problemi della nostra vita. È la più grande invenzione del nuovo millennio e non ne possiamo più fare a meno.
3. Consigli pratici: Il benessere digitale
L’abbiamo già sentito. Ma cos’è sto benessere digitale?
Il benessere digitale consiste in uno stato di equilibrio ottimale (e dinamico) tra condizione online e offline, in cui i vantaggi della connettività mobile sono massimizzati e le conseguenze negative minimizzate.
Oooooh, arriviamo finalmente al nocciolo della questione! Gli step fondamentali per il raggiungimento del benessere digitale sono due: il media balance e il digital detox.
Partiamo dal primo step: il media balance. Per media balance intendiamo la gestione positiva e sostenibile dell’esperienza online. Ecco alcuni consigli pratici:
Passiamo ora ad analizzare il secondo step necessario per raggiungere questo famigerato benessere digitale: il digital detox.
Per via del magnetismo e dell’utilità, spesso necessaria, della tecnologia, facciamo molta fatica a staccarcene.
Il digital detox consiste in un periodo di tempo in cui decidiamo di astenerci volontariamente dall’uso di device e piattaforme social.
Ecco alcuni metodi efficaci che consigliamo per praticare il digital detox:
Assolutamente si. Esistono molti tool che sono stati sviluppati appositamente. Basti pensare alla modalità “Focus” ormai presente di default nella maggior parte dei sistemi operativi, o alle innumerevoli App dedicate che puoi scaricare dai principali store (App Store e Google Play Store).
Il benessere digitale è costituito da un equilibrio ottimale tra condizione online e offline. Il raggiungimento del benessere digitale dipende da due fattori: Il primo è la media balance (gestione positiva dell’esperienza online). Il secondo consiste nella possibilità di praticare periodi di digital detox (momenti di astensione volontaria dall’uso del device).
Quando siamo in compagnia del nostro smartphone siamo felici e non abbiamo nessuna ripercussione psicofisica. L’utilizzo smodato dello smartphone non provoca nessuna dipendenza e possiamo smettere di utilizzarlo quando vogliamo. Basta volerlo!
4. Conclusione: “Una app?!” – Contraddizione o soluzione?
Giunti a questo punto dell’articolo sappiamo esattamente che cosa ti starai chiedendo:
Potrebbe sembrare, ma non lo è. Un’app, in realtà, potrebbe essere uno degli strumenti migliori per raggiungere il nostro obiettivo… ma non un’app qualunque!
Se non sei capitato per caso sulla nostra pagina e se non è la prima volta che leggi un articolo del nostro blog, sai già che a noi di DIGITALMANTRA, piace approfondire i temi che decidiamo di trattare e non ti parleremo mai di argomenti che non conosciamo per diretta esperienza basandoci sull’opinione di altri. Dopo questa doverosa precisazione andiamo avanti!
Abbiamo deciso, quindi, di parlarti di un’applicazione che sta per essere lanciata sul mercato e che abbiamo la netta sensazione possa riscuotere un clamoroso successo. Parliamo di Mind Your Time (MYT), un’app sviluppata da alcuni psicologi del benessere specializzati in cyberpsicologia (tra cui il nostro esperto Mattia).
Ecco come funziona: MYT monitora i tempi di utilizzo del device e, quando rileva che vengono superate determinate soglie di impiego continuativo, personalizzate dall’utente stesso, glielo notifica. Nel farlo, MYT chiede all’utente come si sente in quel momento e, sulla base dello stato d’animo, propone delle attività evidence-based volte a migliorarne le condizioni emotive difficili, i livelli di energia, attenzione e stress.
Tra le tecniche impiegate troviamo la mindfulness, il focusing, tecniche di rilassamento o attivazione, la scrittura espressiva, il grounding, la visualizzazione, i battiti binaurali e la psicoeducazione, insomma moltissimi degli strumenti della psicologia positiva. Una ricerca che questi ragazzi hanno condotto nel 2019 (per una volta diciamo con orgoglio che non vengono né dalla Silicon Valley né dalla famosa Università del Massachusetts, bensì sono italianissimi), e confermata dalla letteratura scientifica, ha dimostrato che specifici stati d’animo negativi sono tra i principali predittori dell’uso compulsivo e sregolato del device, che porta a sua volta alle conseguenze descritte in questo articolo.
MYT si propone quindi in modo efficace, di intercettare i momenti di utilizzo disfunzionale e aiutare l’utente a disinnescare le condizioni psicologiche che li causano, promuovendo un utilizzo più sostenibile e consapevole dello smartphone, favorendo allo stesso tempo il benessere psicofisico e facilitando le performance quotidiane, ovvero quelle dimensioni fortemente colpite dall’iperconnettività.
Questa app ci piace molto, oltre che per l’idea in sé (e per un po’ di sano patriottismo), perché i ragazzi hanno tenuto in larga considerazione anche gli aspetti motivazionali degli utenti, per garantire maggiori probabilità di riuscita nel processo di cambiamento proposto. MYT, infatti, è ideata secondo l’approccio human centered designed per cui, sia la user interface che l’intera user experience, sono state sviluppate in modo da essere semplici, piacevoli e coinvolgenti, rispondendo così ai bisogni dell’utente e “agganciandolo” grazie a strategie di nudging quali la gamification e il rewarding.
Attualmente esistono 2 beta della versione gratuita di MYT, una Android e l’altra iOS. Al momento in pochissimi la conoscono, ma i più appassionati del genere che hanno già cominciato ad utilizzarla, in poche settimane hanno già riscontrato evidenti benefici. Entrambe le versioni sono già presenti sugli store e a breve, verranno lanciate ufficialmente!
La tecnologia se ben progettata può essere nostra amica e fonte di benessere.
La soluzione per raggiungere il benessere digitale consiste nell’imporre il digital detox assoluto. Rinchiudiamoci in un tempio e facciamo i “fricchettoni”!
Fonti per approfondire gli argomenti trattati:
Mattia Minzolini, 2021 – Mind Your Time: la Tencologia Positiva applicata alla promozione di Benessere ed Empowerment nella relazione d’uso con i device digitali
Erika Pivetta, 2019 – Problematic smartphone use: An empirically validated model
P.IVA e CF-11709160961
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